Lo yoga non è piegarsi in due o diventare più buoni, ma un mezzo, un supporto stabile per l’osservazione e la conoscenza di sé, della propria realtà esistenziale, ma non per doverla cambiare, ma per osservarla così com’è. Solo quello che è può essere trasformato e non quello che vorremmo che fosse.
Per questo il corpo diventa il punto di partenza. Siamo qui, ora, nel nostro corpo. Il contenimento del complesso mentale parte dell’ascolto del respiro nel corpo. Lo yoga è un mezzo per tornare a noi. Corpo, mente, respiro.
La mente non si può fermare, è nella natura della mente pensare. Il cuore batte, la mente pesa, analizza, crea. Poi c’è la coscienza che osserva immobile. L’unica cosa che possiamo fare è evitare la confusione tra coscienza e realtà, tra Purusa (pura coscienza, il testimone immobile) e la Prakrti (realtà, pensieri, sensi, emozioni). La sofferenza è la confusione si crea quando ci identifichiamo con la nostra mente, pensieri, emozioni etc…
Il primo mezzo che abbiamo è il corpo. Tornare al corpo, qui ora. Sentirlo, viverlo. Poi abbiamo il respiro. Sentire il respiro nel corpo. L’aria che entra e l’aria che esce. Osservo, come un testimone immobile. I pensieri le emozioni, nascono, mi attraversano e scivolano via. Se la mente si agita, si distrae, un pensiero, un rumore, un emozione, torno al respiro nel corpo.
La meditazione non è una tecnica, ma uno stato. La meditazione non si fa, accade. La meditazione emerge quando tutto il resto si ferma, si mette da parte. Con la pratica si toglie il velo che copre la luce. Non si scopre nulla nulla di nuovo, non si arriva da nessuna parte, emerge ciò che già è presente in noi. Immobile, sempre lì, qualsiasi cosa ci accada nella vita. La meditazione è sentire pienamente ciò che c’è, non è sentire meno, diventare impassibili, ma vivere pienamente tutto ciò che ci accade, è rendersi vulnerabili. Viversi. Respirararsi. Qui, ora.
Attraverso forme semplici del corpo si arriva alla immobilità della reazione del complesso mentale. Quando la mente si posa immobile sul flusso di aria che entra ed esce dal corpo immobile il mentale non disperde più. Per questo le posizioni, Asana, non diventano forme da copiare, ma un mezzo per osservare il contenuto, osservare noi stessi, non essere un’altra cosa. La cosa più difficile è fare nostra la posizione, con cura, con precisione, non tirare, non spingere, non forzare. Prendere una forma vera (satya) che ci corrisponda senza forzare (aimsha) per arrivare in una posizione comoda (stira), stabile (suca) nella quale non siamo più attratti dagli opposti (raga e dvesa). Da qui accade il respiro (pranayama), il mentale non disperde (pratyahara), la coscienza si posa immobile (dharana) e non disperde più; la meditazione emerge (dhyana). Poi forse accade che la coscienza osserva se stessa (samadhi).
Lo stato di meditazione, di unione, di integrità, lo stato di non dualità, di yoga, si produce grazie all’arresto della dispersione mentale l’arresto.
Yoga città vrtti nirodha